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Armored Core VI: Fires of Rubicon – Recensione

Armored Core VI: Fires of Rubicon, che potete fare vostro acquistandolo da GameStop,  senza il successo di From Software, senza i Dark Souls, senza Elden Ring, non sarebbe mai stato così atteso, né avrebbe ricevuto tutta l’attenzione mediatica di cui al contrario ha goduto negli ultimi mesi. La saga a base di pianeti alieni e mech alti qualche piano, difatti, pur vantando un curriculum di tutto rispetto, con sei capitoli regolari e una decina tra espansioni, sequel diretti e spin-off, al di fuori del Giappone, dove invero ha sempre potuto contare su una discreta schiera di fan, è quasi un oggetto del mistero, il classico gioco che l’esperto tira fuori dal cilindro, senza sortire alcun effetto tra i presenti al di là di domande confuse e facce sbigottite.  

Nuovi fan, curiosi e critica in primis hanno ovviamente fatto sì che attorno a questo capitolo si creasse il giusto hype, che si accumulassero speranze e sogni, che in fase di promozione si formulassero ipotesi, teorie, previsioni di ogni genere. 

Il risultato è che da pochi fedelissimi, Armored Core si è ritrovato una pletora di potenziali utenti estremamente interessati a scoprire cosa potesse offrire Fires of Rubicon, gruppo piuttosto numeroso composta da soggetti non per forza con le idee chiare sui contorni e le fattezze di questo titolo che, tra l’altro, ha la grande responsabilità di essere la prima novità del catalogo From Software dopo Elden Ring, il gioco che più di tutti ha alzato, e di molto, l’asticella delle ambizioni e potenzialità del team capitanato da Hidetaka Miyazaki.  

From Software, nel corso dei mesi, ha più volte sottolineato la distanza siderale che separa l’action-RPG open world pubblicato nel 2022, dal qui preso in esame Armored Core VI: Fires of Rubicon. Ma qualora ce ne fosse ancora bisogno, lo ribadiremo una volta in più: non si tratta di un soulslike, non è open-world 

I neofiti, avviata la prima partita, si troveranno di fronte ad uno sparatutto in terza persona, ambientato sulla superficie di un mondo alieno, in cui vestendo i panni di un metallico mech armato di tutto punto dovranno completare alcune missioni in una serie di scenari dalle discrete e variabili dimensioni. Recuperare un pacchetto di dati, distruggere tutti i nemici in una determinata area, raggiungere una location specifica, ovviamente fronteggiare un gigantesco boss, tutti livelli che una volta completati vi permetteranno di accedere nuovamente all’hangar, hub centrale in cui gestire il mech e selezionare la missione successiva. 

Parlando di pura e semplice progressione, insomma, siamo di fronte ad un gioco estremamente classico. Si combatte, si ottengono crediti, si potenzia o modifica il mech, si ritorna sul campo di battaglia. Non c’è alcuna sovrastruttura online a sorreggere il tutto. Non c’è un ambiente virtuale che collega tra loro modalità e menù.  

Già da questa caratteristica si carpisce la voglia di conservare e riproporre l’identità della saga, nonché di regalare all’utenza un’esperienza sensibilmente differente dai titoli più famosi di From Software.  

L’approccio alla trama, per esempio, è rassomigliante, ma profondamente diverso. Il Coral è ciò che rende Rubicon tanto speciale e conteso da numerose società interessate allo sfruttamento di questa fonte d’energia estremamente efficiente. Una gigantesca esplosione sulla superficie del pianeta ha tuttavia sconvolto il paesaggio, rallentato la colonizzazione, incentivato la formazione di una forza di resistenza autoctona che vuole contrastare lo sfruttamento intensivo delle corporazioni.  

Si tratta sempre di trovare la giusta configurazione per il mech

Tra città disabitate, strutture semiabbandonate, fabbriche e centri estrattivi che nonostante tutto continuano a produrre, fanno capolino forze private e soprattutto mercenari, autentici aghi della bilancia nella lotta intestina per il controllo di Rubicon. Con il loro mech pesantemente corazzati e le loro abilità potenziate da esperimenti genetici, condizionano l’andamento di una guerra che, a ben vedere, sembra non possa avere mai fine.  

Almeno fino all’apparizione di Raven, mercenario inizialmente senza nome e identità, protagonista di questa vicenda, nonché classico uomo del destino, il cui operato segnerà un’importante svolta negli equilibri che governano il pianeta.  

La trama, che per lo più si avvale di dialoghi con voci fuori campo e brevi scene d’intermezzo, fortunatamente spesso dall’impatto registico notevole, per quanto ci tenga a catturare l’attenzione dell’utente fornendogli indizi e spiegazioni un po’ alla volta, non è affatto criptica ed enigmatica. Si prende il suo tempo per esporsi e chiarirsi, ma è sempre globalmente comprensibile ed apprezzabile da chiunque. Certo, lo stile narrativo scelto, fatto di lunghi dialoghi sullo sfondo di schermate fisse, non incontrerà la simpatia di molti, ma a conti fatti la trama, per quanto intrigante e costantemente rinvigorita da qualche colpo di scena, non rappresenta il vero fulcro della produzione. 

Armored Core VI: Fires of Rubicon, vive di e per le battaglie a bordo del mech. Conoscere l’evoluzione dei battibecchi tra corporazioni ben contestualizza il tutto, non c’è dubbio, ma per lo più non vedrete l’ora di scendere nuovamente in battaglia, vista la bontà di quanto ostentato dal gioco in termini di puro gameplay. 

Come vedremo, non si tratta di un titolo perfetto, ma l’esperienza proposta da From Software è sufficientemente sfaccettata e stratificata per fare la gioia dei fan di vecchia data e di chi cerca uno sparatutto impegnativo al punto giusto.  

Ci teniamo a precisarlo. Quasi nessun livello è una passeggiata di salute, ma si tratta sempre di trovare la giusta configurazione per il mech. La pratica rende il tutto più semplice, sia chiaro, ma Armored Core VI: Fires of Rubicon non fa della difficoltà di fondo la sua ragione d’essere, né scoraggia chi non è totalmente a suo agio con il premere complesse sequenze di pulsanti con tempismo perfetto. Non ci sono pattern offensivi da imparare a memoria, né mosse particolarmente complesse da sfoderare tassativamente per avere la meglio. 

Per superare ogni battaglia dovrete soprattutto tenere d’occhio i molti indicatori sullo schermo, gestire al meglio l’energia del mech, affrontare con intelligenza e rapidità gli avversari.  

La prima difficoltà che incontrerete, soprattutto se siete neofiti, è appunto la corretta interpretazione dell’HUD. Le icone, le barre sono molte. Ogni arma ha il suo tempo di cooldown. Tra nemici in cui è attivo il lock-on e segnali che indicano da che parte sta giungendo l’attacco di turno, counter che tengono conto del numero dei danni inferti e del numero di munizioni rimanenti, c’è il rischio di essere soverchiati da una cacofonia visiva effettivamente disorientante.  

Questo, in realtà, è solo il primo di due grandi compromessi che chiede Armored Core VI: Fires of Rubicon ai chi non è pratico della saga. Avere la calma e pazienza necessaria per abituare le proprie facoltà cognitive a fare i conti con così tanti stimoli, tutti utilissimi per avere sempre il controllo della situazione, è un passaggio obbligato. 

La vera gratificazione si soppesa nell’esperienza personale accumulata

Per quanto il ritmo non sia mai indiavolato, il gioco From Software incentiva le incursioni rapide, decise, risolute. Ciò è possibile solo con un approccio strategico, ragionato, che tenga sempre conto dei punti di forza e debolezza di avversari e soprattutto del proprio mech.  

Questo, non a caso, è il secondo compromesso che Armored Core VI: Fires of Rubicon impone alla sua utenza. Non si può vincere, o quanto meno avere vita facile in battaglia senza un attento assemblaggio del proprio mezzo, da sempre feature che più di molte altre contraddistingue il brand di From Software. Braccia, torso, testa, gambe, propulsore, generatore d’energia, ovviamente le quattro armi che potrete equipaggiare, ogni pezzo andrà attentamente analizzato, valutato ed eventualmente selezionato. Per quanto è chiaro che alcuni componenti siano più efficaci di altri, la profondità del gioco viene a galla proprio grazie a questa caratteristica, non è una semplice gara ad acquistare il nuovo oggetto messo in vendita nell’apposito negozio. Ogni componente ha punti di forza e debolezza, qualità e lacune specifiche per essere utilizzati contro determinati avversari, in determinate condizioni.  

L’abitudine e le preferenze del giocatore giocano ovviamente un ruolo importante, ma i migliori piloti saranno quelli che sapranno continuamente riadattare il mech in base alle esigenze della missione. Anche perché va continuamente valutato il peso, nonché il carico energetico che ogni componente richiede. Non si può superare una certa soglia di entrambi i parametri, anche perché, molto presto, vi accorgerete che spesso basta modificare anche un singolo pezzo per otterrete performance estremamente differenti sul campo di battaglia. 

 

Se in alcune missioni basta aver sviluppato un minimo di manico per cavarsela in qualsiasi condizione, soprattutto con i boss la situazione cambia drasticamente. Per alcuni dovrete munirvi di armi efficaci dalla corta distanza. Altri andranno approcciati con missili che possono coprire ampie distanze. Altri ancora sono particolarmente deboli contro gli attacchi cinetici. In certe situazioni senza un mech capace di schivate fulminee verrete puntualmente sconfitti. In ogni caso, altro grande punto di forza del gioco, preparatevi a vivere scontri pirotecnici, spettacolari, prolungati. 

Meno ambizioso di Elden Ring, ma non per questo meno stratificato, divertente, complesso.

Bisogna essere portati ad un certo tipo d’esperienza, al così detto trial & error, ma riuscire a superare una missione, fino ad un tentativo prima ritenuta impossibile, regala soddisfazioni enormi. Non c’è mai una sola configurazione vincente e la progressione del videogiocatore non si misura solo nel numero di nuovi oggetti sbloccati nel negozio o nella valutazione ricevuta al termine del livello. La vera gratificazione si soppesa nell’esperienza personale accumulata. In breve, si cominciano a riconoscere i nemici che vi si pareranno di fronte, adattando immediatamente il vostro approccio offensivo. La tipologia di esplosioni e colpi che vedrete sprigionarsi dagli avversari, vi faranno capire in pochi secondi se la configurazione del mech è adatta o meno al tipo di scontro.  

Manca, in questo senso, un briefing iniziale che possa preparare anticipatamente il giocatore alle minacce che incontrerà, ma fa parte della filosofia di un titolo che, in ogni caso, vi mette nei panni di un mercenario alle prese con un pianeta alieno, zeppo di nemici, spesso nascosti o che incombono improvvisamente. 

Il combat system nudo e crudo sa essere a suo modo adrenalinico al punto giusto. Ci si muove con circospezione, cercando di scorgere il prima possibile gli avversari, ma quando i colpi di mitragliatrice iniziano a riempire il cielo, si dà fondo alle capacità motoristiche del mech che può effettuare schivate, scivolare sul terreno, librarsi in volo. Naturalmente, l’efficacia di queste abilità dipende dalla configurazione scelta. I tripodi possono rimanere sospesi a mezz’aria. I cingolati regnano sulla terraferma. Le componenti corazzate proteggono, ma rendono meno efficaci gli scatti.  

Purtroppo, il sistema di controllo a volte pecca di precisione. Non sempre la riparazione del mech si avvia con la solerzia necessaria. L’attivazione dei reattori alla massima velocità, per un poderoso scatto spesso necessario per superare alcuni burroni, è affidata alla pressione dell’analogico sinistro e nella concitazione di certi scontri si può inavvertitamente attivare. L’utilizzo di certe armi corpo a corpo a volte si traduce in una perdita d’orientamento totale a causa di una telecamera pigra.  

Anche la progressione non è sempre convincente, pur trattandosi di un difetto molto relativo. Missioni piuttosto prolungate e particolarmente impegnative, si susseguono con altre brevissime, in cui si affronta uno sparuto e mal equipaggiato gruppo di nemici. Anche la modalità Arena, in cui si affrontano mech controllati dalla CPU in scontri 1 VS 1, presenta squilibri di difficoltà non da poco.  Nessun difetto influenza eccessivamente l’esperienza, ma non mancano piccole ingenuità insomma. 

Ottima la longevità. Volendo completare ogni missione con il massimo grado e sbloccare tutti i pezzi del mech, si possono perdere agevolmente anche una trentina di ore. Inoltre, alla già citata Arena, va aggiunto il PvP, a cui dedicheremo un articolo a parte, che potenzialmente potrà tenervi incollati per decine e decine di ore, nel tentativo di dimostrare di essere i migliori mercenari sulla piazza.  

Longevo, graficamente all’altezza delle aspettative e caratterizzato da boss fight spettacolari

Graficamente Armored Core VI: Fires of Rubicon se la cava egregiamente. Per quanto analizzando i dettagli si notino alcune sbavature, il colpo d’occhio è assolutamente soddisfacente. Il merito, oltre che ad un solido motore grafico che in modalità prestazioni regge benissimo in termini di frame rate, va attribuito anche ad un’ottima direzione artistica. Sebbene gli scenari tendano ad essere privi di chissà quali dettagli, sebbene alture innevate e città semidistrutte facciano da padrone, Rubicon è un pianeta affascinante. Gigantesche strutture artificiali si arrampicano fin sopra il cielo; immense distese vengono interrotte qui e lì da una vegetazione che sopravvive alle intemperie di un clima estremo; palazzi diroccati ed edifici distrutti parlano di un addomesticamento del pianeta riuscito solo a metà; enormi fabbriche e basi militari si snodano in gineprai metallici asfissianti. Più volte resterete affascinanti dalla fantasia ostentata dagli artisti di From Software, nonostante il gioco non raggiunga quella vivacità e varietà tanto amata in Elden Ring. 

Sottotono la colonna sonora, fin troppo costretta a fungere da tenue ed evanescente sottofondo. Convincenti gli effetti sonori, cacofonici ed avvolgenti, come le battaglie a cui prenderete parte. 

Conclusioni

Non ci aspettavamo, né desideravamo altro da Armored Core VI: Fires of Rubicon. Fedele ai dettami della saga, la nuova produzione di From Software non è un open-world e non vuole essere un soulslike. 

Impegnativo al punto giusto, il vero focus del gameplay è insito nella costruzione e personalizzazione, anche estetica, del mech. Riuscire a creare la build più idonea per la missione o la battaglia nell’Arena di turno regala gioia e soddisfazione indescrivibili. Nonostante qualche piccola défaillance del sistema di controllo, anche in battaglia ci si diverte alla grande, a patto di apprezzare un approccio lievemente più ragionato e strategico rispetto alla maggior parte degli sparatutto in terza persona.  

Longevo, graficamente all’altezza delle aspettative e caratterizzato da boss fight spettacolari, Armored Core VI: Fires of Rubicon è imperdibile per i fan di lunga data della saga, ma anche i neofiti, a caccia di qualcosa di più impegnativo del solito, farebbero bene a guardare con curiosità alla produzione From Software. 

Un titolo enormemente meno ambizioso e complesso di Elden Ring, ma non per questo meno stratificato, divertente, complesso. 

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