L’intervista

Stefano Pedron: «Jakala, obiettivo 600 milioni di ricavi. Il digitale accelera»

di Francesco Bertolino

«Raccogliendo una mole enorme di dati e sviluppando strumenti per analizzarli, abbiamo creato una piattaforma di servizi in grado di indicare alle aziende quali spese pubblicitarie rendono e quali no», spiega Stefano Pedron, ceo di Jakala, capace nel 2023 di oltre 500 milioni di ricavi

«Metà dei miei investimenti pubblicitari è sprecata; il problema è che non so quale metà». Da 20 anni Jakala si è data la missione di smentire la massima attribuita a John Wanamaker, pioniere del marketing e inventore del centro commerciale. «Raccogliendo una mole enorme di dati e sviluppando strumenti per analizzarli, abbiamo creato una piattaforma di servizi in grado di indicare alle aziende quali spese pubblicitarie rendono e quali no», spiega Stefano Pedron, ceo del gruppo con sede a Milano e capace nel 2023 di oltre 500 milioni di ricavi. «Oggi possiamo aiutarle a concepire, attuare e monitorare campagne mirate: e, quando dico mirate, intendo al numero civico».

Che intende?
«Integrando più fonti di dati anonimizzati, abbiamo costruito sistemi che descrivono i consumatori potenziali, associando su base statistica alla loro geolocalizzazione fino a 80 variabili. Unendo queste informazioni ai database proprietari, le aziende possono indirizzare al meglio i loro investimenti di marketing».

Come?
«La faccio un esempio. Stiamo gestendo una campagna pubblicitaria negli Stati Uniti per un importante gruppo del lusso, a cui siamo in grado di suggerire in quali territori –—e intendo a livello di codice postale — ha senso investire su Google perché le persone cercano il marchio e dove invece non c’è interesse. La campagna è più efficace ed efficiente, con un risparmio di risorse che arriva al 20-30%».

Che impatto ha l’intelligenza artificiale sul mestiere pubblicitario?
«Dirompente. Si dice che i dati sono il nuovo petrolio. In gran parte, è vero. A differenza del petrolio, però, i dati sono potenzialmente infiniti: ogni giorno le interazioni delle persone e delle macchine con gli oggetti ne aggiungono di nuovi, a un ritmo sempre di più veloce. Ciò crea un problema che l’intelligenza artificiale sa affrontare meglio dell’uomo».

Quale?
«Aiuta a dare un senso alla mole di informazioni in circolazione, distinguendo il “rumore di fondo” dai segnali importanti. L’intelligenza artificiale è la raffineria dei dati che va ad alimentare nuove macchine produttive più efficienti. Investiamo molto per costruirne di nostre».

Quanto?
«Attualmente, abbiamo al nostro interno una divisione di oltre 500 persone dedicata all’AI. Contiamo di arrivare a 1000 persone nel giro di tre anni tramite assunzioni e acquisizioni, aumentando soprattutto le competenze nell’ambito dell’AI generativa. Oggi questa tecnologia è in fase di sperimentazione, ma siamo convinti che rivoluzionerà la nostra industria: non vogliamo subirla, aspettando i casi di successo altrui, ma stiamo lavorando per esserne noi gli artefici».

Chat Gpt e gli altri modelli di AI generativa sono capaci anche di produrre contenuti..
«L’intelligenza artificiale generativa ha senza dubbio potenzialità enormi nel marketing: consente di disegnare, simulare e testare campagne pubblicitarie con un risparmio che alcune stime, tutte da verificare nell’esperienza, prevede possa arrivare fino al 90%. Ma non minaccia il mestiere dei creativi, anzi lo rende più efficiente».

Perché?
«L’AI libera tempo per le attività a maggior valore aggiunto, quali appunto la creatività che è intelligenza laterale, ossia capacità di trovare legami e analogie originali, soluzioni innovative a problemi vecchi e nuovi. Proprio per questo, dopo aver costruito un’infrastruttura di dati senza pari sul mercato, abbiamo da poco deciso di lanciare l’agenzia creativa Sbam».

Quali obiettivi di crescita vi siete dati come gruppo?
«Abbiamo chiuso il 2023 con 520 milioni di ricavi e puntiamo ad avvicinare i 600 milioni nel 2024. Cresciamo in media del 20% all’anno e contiamo ormai oltre 3000 collaboratori. L’obiettivo è figurare entro il 2030 fra le prime cinque aziende al mondo del nostro settore, il che significa arrivare almeno a un miliardo di ricavi. Come soglia minima».

Come contate di raggiungerla?
«Già oggi generiamo il 50% del nostro fatturato all’estero, in particolare in Germania, Francia e Spagna. Siamo presenti anche negli Stati Uniti, dove ci siamo rafforzati con il recente acquisto di FFW, ma vogliamo crescere ancora sul mercato nordamericano, autonomamente e attraverso acquisizioni».

La Borsa è un’opzione che considerate per finanziarle?
«Al momento no: abbiamo bisogno di un investitore con un forte orientamento imprenditoriale che accompagni il nostro percorso di crescita a lungo termine. Lo abbiamo trovato in Ardian, che oggi detiene il 62% del nostro capitale e intende rimanerci ancora per uno-due anni. Un domani, quindi, potremmo cercare il sostegno di un altro fondo che ci aiuti a fare il salto dimensionale negli Stati Uniti, il mercato più importante per il nostro settore».

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