The Legend of Zelda: Breath of the Wild - Recensione

Hyrule rinasce per l'ennesima volta.

The Legend of Zelda: Breath of the Wild - Recensione e videorecensione

“Dove andiamo oggi?”, tra le tante possibili è questa la domanda che più di ogni altra scandisce e guida ogni giorno speso da Link nella nuova, antica e immensa Hyrule. Gli altopiani di Necruda, con le distese in fiore a perdita d’occhio, o i fumi e i panorami ribollenti del Monte Morte, che regna sulla Valle di Oldin? L’autunno perenne e malinconico di Akkala o i monsoni che spazzano continuamente la zona del lago Morera? La delicatezza tutta orientale del villaggio Calbarico che si è preso di forza parte delle pareti rocciose appena dopo la catena Bonuru o il caldo insopportabile e gli spazi apparentemente infiniti del deserto Gerudo? Quella di The Legend of Zelda: Breath of the Wild è una Hyrule ridotta allo stremo delle forze, stretta nel giogo della calamità Ganon la cui promessa di apocalisse si avvicina sempre più a ogni tramonto. Eppure è un mondo incredibile e in cui è impossibile non perdersi, da subito e continuamente, giorno dopo giorno, fino a quando all’eroe dal sonno lungo cent’anni non verrà concessa la possibilità di ricacciare la bestia per un’altra volta, non l’ultima, negli inferi.

Una possibilità che sta al giocatore decidere quando prendersi, perché qui sta buona parte della grandezza di The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Il suo essere davvero e senza alcun compromesso un gioco libero e completamente a disposizione di chi lo vuole esplorare. Ultimata una sezione iniziale che funge da vero e proprio tutorial, quasi senza che il giocatore se ne renda conto (sono lontane anni luce le lungaggini di Skyward Sword), le regioni che circondano il castello di Hyrule si propongono senza alcun limite. Una sola missione: sconfiggere Ganon. Solo una manciata avara di suggerimenti sotto forma di alcune quest principali che possono essere affrontate, dando retta ai saggi consigli del team di sviluppo, ma che possono allo stesso modo essere lasciate da parte. L’obiettivo è chiaro, a Link scoprire come e quando raggiungerlo.


L’ambizione che contraddistingue il primo, nuovo, Zelda per un sistema (anche) casalingo da sei anni a questa parte è di quelle che si assaporano raramente. Con tutta probabilità solo Ocarina of Time può condividere con Breath of the Wild la stessa contagiosa e stupefacente voglia di fare, di rivoluzionare, di proporsi come un’avventura unica, immensa, indimenticabile e totalizzante. Ed è sorprendente quanto tutto fluisca in maniera così elegante, naturale e paradossalmente prevedibile. Perché si entra dentro i nuovi meccanismi di un nuovo modo di intendere “la leggenda” quasi senza accorgersene, ritrovandosi in un mondo diverso eppure sempre riconoscibile, facendo quanto mai era stato possibile fare prima e godendosi ogni minuto.

Esiste comunque una sorta di vademecum ideale destinato ad aiutare Link in quella che inizialmente sembra un’impresa impossibile. Ogni regione può essere raggiunta in qualsiasi momento, scavalcando ostacoli e abbattendo accampamenti di Boblin o facendosi strada tra l’oscurità mescolando le ossa agli Stal, ma senza una mappa sottomano diventa complicato capire dove andare e cosa fare. A questo servono le torri che, dopo il risveglio dell’eroe, si sono misteriosamente erette verso il cielo in ogni zona di Hyrule. Ci si ritrova soli, con la tavoletta Sheikah raccolta nei primi minuti di gioco che accompagna Link con tutta una serie di funzioni, tra cui quella di binocolo: uno sguardo verso l’orizzonte, seguendo le quattro direzioni cardinali, fino a quando non si scorge la torre più vicina. Allora via, si seleziona l’arma più appropriata, ci si piazza sulla schiena uno scudo utile alla bisogna, magari si dà una ricontrollata al vestiario e poi si inizia a correre verso la torre.

La mappa in basso non mente: siamo al "buio"!

A piedi o a cavallo, se si è già riusciti a trovarne uno e ad addomesticarlo (inizialmente è sconsigliabile puntare a quelli dal manto uniforme, troppo bizzosi) e nelle vicinanze c’è uno stallaggio in cui recuperarlo, con un puntatore piazzato poco prima attraverso la tavoletta Sheikah a guidare nella notte buia (reale o metaforica che sia). Quando finalmente la si scova, dopo aver affrontato qualche nemico, schivato all’ultimo i suoi colpi per replicare con forza essendosi aperti un varco nelle sue difese, si può partire con la scalata. In cima uno strano ibrido di meccanica, tecnologia e pietra consente alla tavoletta Sheikah finalmente di conoscere la conformazione della regione. La posizione sopraelevata è perfetta per cominciare a cercare qualche sacrario, affidandosi di nuovo al sistema di segnalazione della mappa per appuntarsi la posizione. Ce ne sono due a vista? Molto bene, un salto da decine di metri di altezza, una caduta che si trasforma in docile planata con quello strano deltaplano portatile omaggio di una figura antica nelle prime fasi di gioco, mentre sotto si stende l’ennesimo scorcio di una Hyrule mai così viva, vera e palpitante.

I sacrari sono l’altra faccia della medaglia di Breath of the Wild, un gioco che fa dell’esplorazione selvaggia e totale la sua cifra più caratteristica. Si corre, si cavalca, ci si arrampica ovunque, limitati solo da un equipaggiamento magari inadatto o da una barra del vigore (a tutti gli effetti la più classica stamina) ancora impreparata a certe imprese. Si fa roteare una lancia, si affonda con l’alabarda, si fa urlare una mazza in legno o si schianta un martellone da guerra sui nemici che scompaiono in un puff, lasciando a terra non più rupie e cuori, ma corna, zanne e code da rosolare assieme a insettame assortito per elaborare qualche pozione. Quando non si fa tutto questo, però, è perché si ha a che fare con i sacrari: luoghi deputati unicamente alla risoluzione di puzzle, piccole costruzioni ancestrali che non vengono naturalmente indicate sulla mappa, ma la cui ubicazione può essere più facilmente individuata grazie alla funzione da radar sonoro sempre dell’insostituibile tavoletta Sheikah.

Leve, pesi, porte nascoste, correnti d’aria capricciose e tutto quanto da sempre abbia caratterizzato i dungeon di Zelda sono ora gli attori principali dei sacrari. Sfide che spesso si risolvono nel giro di due o tre stanze, che arrivano a interrompere quell’azione continua per titillare la materia grigia. Sacrari che, completati, assegnano a Link un’emblema, da riscattare in gruppi di quattro pregando alle divinità Hylia per vedersi concesso un nuovo portacuore o un’espansione della barra circolare del vigore. Così da poter rendere più credibile quell’arrampicata, quello scontro, quell’impresa che fino a poco prima poteva sembrare così complessa. Ma, in effetti, è anche qui che sta il segreto di Breath of the Wild, un gioco che non dà mai risposte uniche e non chiede mai approcci limitati alla risoluzione dei problemi. Così possono anche bastare dei funghi abbrustoliti su un pentolone per poter godere temporaneamente di maggior vigore, per muoversi furtivamente con passo felino oltre i nemici addormentati, per proteggersi dal caldo e dal freddo. Solo per fare qualche esempio.


L’altra funzione, essenziale, dei sacrari è di scandire la mappa in punti di teletrasporto, sempre e comunque a disposizione in qualsiasi momento attraverso il menu di pausa. Anche perché affidarsi unicamente alle proprie gambe o agli zoccoli di De Ceglie (il mio cavallo del cuore durante le giornate spese a Hyrule) si rivelerebbe possibile ma altamente sconsigliabile. Troppo estese le distanze, troppi i pericoli da affrontare. Allora tra l’esplorazione, i combattimenti, i sacrari, ci sono anche i movimenti in cui raggiungere uno dei villaggi o degli stallaggi, per prendersi una pausa. Magari per avvicinarsi al pentolone di cui sopra e prepararsi qualcosa di buono con tutto quanto trovato tra il sottobosco e i pendii innevati, tra le palme e i rovi. Tra riso, burro, uova e carote comprate in qualche negozio, pesci accalappiati sulle rive del fiume Celestiale o prelibate bistecche frutto di qualche freccia scoccata con successo verso un cervo o chissà chi per lui.

C’è anche questo problema parlando di Breath of the Wild: citare tutte o buona parte delle sue componenti non è solo stucchevole e vagamente inutile, ma anche tremendamente complesso considerando quanti sono gli ingranaggi che si mettono in moto. Per fortuna tutto riesce assurdamente facile da comprendere e addomesticare: dal sistema di potenziamento dei vestiti, che possono essere ricevuti in dono o acquistati, al sistema che porta le armi a differenziarsi e a rompersi regolarmente. Uno stratagemma per evitare ogni squilibrio in un gioco che si propone fin da subito totalmente aperto e che soffrirebbe dello sfruttamento eccessivo di quel tridente degli Zora ottenuto chissà come. A proposito di acquisti, da dove arrivano le rupie questa volta? Da ciò che si rivende ai negozianti, che sia cibo, vestiario o, molto meglio, pietre preziose. Topazi, rubini, ambra, opale da recuperare nelle zone montuose e se vi capita di trovare quella trivella da minatore che permette di frantumare i minerali (rivelando le gemme al loro interno), tenetevela stretta. Senza di lei l’unico modo è lasciare che siano le bombe, altro frutto della tavoletta Sheikah (che permette di crearne senza alcun limite), ad occuparsene.

Nei sacrari si trovano alcuni nemici fuori dal normale (e utilissimi).

L’integrazione tra le funzioni della tavoletta e del mondo di gioco sono continue, in particolar modo nei sacrari ma non solo. Con Kalamitron si può trascinare qualsiasi elemento in ferro, Stasys punta a fermare il tempo per alcuni meccanismi (e non solo, a voi il piacere della scoperta), Glacyor ha la forza per creare colonne di ghiaccio partendo dall’acqua. Tutti strumenti per gestire alcuni momenti chiave del gioco, ma che diventano essenziali durante la risoluzione degli enigmi e poi all’interno dei dungeon veri e propri. Perché sì, non mancano, anche se sono teoricamente pochi e tutto sommato ridotti in dimensioni rispetto ad altri visti in passato nella serie. Questo perché ci sono i sacrari, naturalmente, a farne le veci, ma anche perché i dungeon seguono tutti una stessa, nuova, filosofia. Che rivelare ora sarebbe crudele, ma che si dimostra affascinante e intelligente come praticamente qualsiasi altra fase di Breath of the Wild. Roba che almeno in un paio di casi può portare allo sfinimento cerebrale, ma a cui seguirà quell’usuale ondata di soddisfazione quando la soluzione compare come una luce improvvisa.

Varrebbe anche la pena spendere qualche parole per le dinamiche stealth, semplici ma efficaci nell'andare a rendere più profondo e sfaccettato l'approccio ai nemici in quello che, comunque, vuole rimanere un gioco tutto improntato all'azione e al ritmo. Ci si muove nell'erba per non farsi vedere, con equipaggiamento o pozioni che aiutano a farsi quasi piuma (ma non proprio) sul terreno, magari colpendo prima i nemici di vedetta che potrebbero suonare l'allarme o andando a sottrarre le armi abbandonate a terra durante un pranzo al falò. In questi momenti, ma non solo, interviene anche in maniera più che mai influente il modello fisico che rende per la prima volta davvero sensato avere delle bombe tonde e altre quadrate, che va a influenzare il comportamento degli oggetti durante le piogge e le raffiche di vento. E per unire fisica e comportamento dei nemici... occhio a fare troppo affidamento su quelle bombe, può capitare che i nemici più coraggiosi le ricaccino a pedate al mittente.

Poi, effettivamente, ci sarebbe anche un ultimo strumento della tavoletta, lo Scattaimmagini… e come tanti altri “pezzi” di Breath of the Wild, anche lui è assolutamente opzionale. Però è grazie a questo che si può tenere traccia di praticamente qualsiasi creatura, ingrediente, elemento, arma, scudo, arco o chissà che altro di Hyrule. Andando così a dare vita a un’enciclopedia (“Compendio”, secondo il gioco) immensa. Che a sua volta può essere integrata con il radar sonoro della tavoletta Sheikah… e allora avere indicazioni per trovare quel boomerang triplo utilizzato dai dannati Yiga diventa decisamente meno complicato. Un esempio, come se ne potrebbero fare tanti altri, della profondità e della ramificazione di un sistema di gioco gigantesco eppure sempre semplicissimo, intuitivo ed elegante.

Un sistema che si preoccupa sempre di ricordare quali sono i punti cardinali dell’avventura di Link, con un diario che tiene traccia (interfacciandosi anche con la mappa naturalmente) degli obiettivi delle missioni principali o, se vogliamo, “della” missione principale. Ma anche delle tantissime quest secondarie, che si attivano solitamente parlando con gli abitanti dei villaggi o con i viandanti incrociati tra la frontiera di Colbacco e il monte Satori, perché no? Sono piccole avventure che riprendono perfettamente quel tono e quel modo di fare così giapponese e tradizionale di Zelda. Leggende di creature che appaiono solo di notte, dicerie su laghetti a forma di teschio chissà dove. Niente di troppo complicato e qui Breath of the Wild ripropone quella leggerezza (peraltro riscontrabile nei dialoghi) tipica della serie Nintendo. Ci sono missioni secondarie costituite da più fasi, che vanno aggiornandosi, ma la cui componente principale non è mai la complessità, quanto più la capacità di capire cosa serva e come farlo. Senza scordarsi delle ultime sfide, quelle dei sacrari, che se risolte permettono di scovare proprio dei sacrari particolarmente ben celati.


A portare in vita, su schermo, questa Hyrule è una direzione artistica fantastica, che pennella con una delicatezza e una sapienza che hanno pochi eguali. Le luci dell’alba o il crepuscolo che si avvicina, le vallate di erba accarezzata dal vento, le buie montagne sconvolte dall’ennesima nevicata, i canyon e le foreste stravolte dai temporali, con un fulmine sempre pronto a venire attirato dall’equipaggiamento in ferro di Link (sbarazzatevi di tutto, in quel caso!). Proprio nelle condizioni metereologiche e nell’orizzonte visivo Breath of the Wild dà il meglio di sé, con cartoline da portarsi sempre in una qualche parte della memoria da videogiocatori. Tanta sapienza e furbizia, che riesce spesso, ma non sempre, a nascondere quelli che sono comunque i limiti tecnici derivati vuoi dall’hardware, vuoi dalla natura del progetto (nato su Wii U almeno quattro anni fa). La complessità poligonale non è mai esaltante, se si gioca sul televisore succede di imbattersi in occasionali cali nella fluidità dell’aggiornamento video (che fortunatamente non preclude mai l’efficacia di quanto si sta facendo) e in generale le texture non sono un granché. Anche se, in quest’ultimo caso, la scelta di Nintendo di puntare a uno stile quasi pittorico un po’ mitiga la cosa. Se si gioca in modalità portatile, su Switch naturalmente, l’impatto è generalmente migliore e la sensazione di avere quel mondo, con quel fascino tutto suo e degli scorci da applausi, sempre a portata… beh, non è poca cosa.

La colonna sonora, probabilmente vista la natura meno segmentata del gioco, è qui più soffusa, a volte assente e altre volte appena accennata. Tutta orchestrale (tranne qualche gustoso rimando a epoche passate), zufola e pizzica corde tra i villaggi e le distese baciate dalla luce della luna. Facendosi cupa e tagliente durante gli scontri o sottolineando con allegria e ritmo i momenti più leggeri e rilassanti.

Su tutto questo c’è l’universo di figure che abbiamo imparato a conoscere nel giro di tre decenni. Le squame degli Zora e le piume dei Rito, l’intransigenza della popolazione Gerudo e la bonarietà dei Goron. Ecco, in effetti dispiace non trovare qualcosa di realmente nuovo anche sotto questo aspetto, in un gioco che fa della rivoluzione praticamente la sua chiave di lettura. Un gioco capace di introdurre il salto e di costruire attorno alla libertà di movimento un vero monumento di level design. Un gioco che vive attraverso un mondo sempre totalmente aperto di fronte agli occhi del giocatore, senza che alcun suo meccanismo vada in conflitto con un secondo, dando vita così a un marchingegno mirabile e stupefacente. In cui scoprire un rapporto mai prima sospettato tra Zelda e Link. In cui godere di tutto ciò che una vittoria contro un’Ira di Ganon (a voi scoprire di che si tratti) porta con sé. In cui tremare come folli di fronte alla potenza sconfinata della calamità che si attorciglia sul castello di Hyrule, venendo sistematicamente scoraggiati dall’avvicinarcisi, fino a quando non sarà il momento. Fino a quando con la Spada Suprema nel fodero, uno scudo Guardiano stretto nella mano sinistra (già!) e la borsa ricolma di pozioni, frecce e determinazione, non si andrà di nuovo, come sempre, a conquistarsi un posto nella storia. Ancora una volta, contro il nemico di sempre, fino alla prossima volta, al culmine di un’avventura che non potrete mai dimenticare.

Il nuovo villaggio Calbarico di Breath of the Wild.

Verdetto

The Legend of Zelda: Breath of the Wild è un’avventura immensa e indimenticabile, ma soprattutto coraggiosa, intelligente, cesellata e rivoluzionaria. Nintendo è riuscita a stravolgere molti degli elementi cardine della sua saga più celebre, assieme alle peripezie di Mario, senza per questo snaturarla o rendendola in qualche modo meno tradizionale. E dire che dentro c’è davvero di tutto, a partire da un mondo totalmente nelle mani del giocatore, in cui ogni angolo è pronto a ospitare Link senza mai tramutarsi in una sorta di fondale cartonato… fino ad arrivare a un sistema di gestione delle armi, dell’energia e del fluire della storia tutto da scoprire. Ma anche da apprezzare, da sviscerare e da fare proprio, mentre si vive un racconto che si è già vissuto, ma mai in questo modo. La splendida direzione artistica riesce a rapire gli occhi, nonostante alcuni limiti grafici. Che se si pensa di essere di fronte semplicemente a una console da casa diventano più evidenti (e chissà quanto ha influito la nascita del progetto su Wii U), mentre se si pensa alla natura portatile di Switch vanno affievolendosi. Per nessun motivo, però, dovreste privarvi dell’opportunità di giocare a The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

In questo articolo

The Legend of Zelda: Breath of the Wild

Nintendo | 03 Marzo 2017
  • Piattaforma
  • WII U

The Legend of Zelda: Breath of the Wild - Recensione e videorecensione

9.6
Ottimo
Una vera e propria rinascita per la leggenda di Nintendo, che con Breath of the Wild dà vita al miglior Zelda di sempre: epico, differente, indimenticabile.
The Legend of Zelda: Breath of the Wild