Immortality - Recensione

Perché siamo fatti di storie.

Immortality - La recensione

LA RECENSIONE IN BREVE

  • Immortality è un'avventura FMV basata su poche meccaniche (moviola analogica, match cut e ricerca del frame) essenziali e ben riuscite.
  • Il mix di generi e l'uso abile dei linguaggi del cinema e dei videogiochi tiene incollati allo schermo per tutta la durata dell'avventura.
  • È un'esperienza coinvolgente, emotivamente intesa e appagante, a patto di accettare che gran parte del tempo la si passa a guardare filmati per scoprire dettagli e che il grosso del gioco è fuori da esso.

C’è un effetto sonoro, di Immortality, che a distanza di giorni continua a restarmi addosso, nella testa. È un suono profondo, basso, di quelli che nelle cuffie sembrano saturare completamente il canale audio, facendo vibrare i bassi e le ossa craniche. Dura pochi istanti e la sua intensità cresce, eppure con il senno di poi non riesco a ricordare se è possibile sentirlo sin dalle prime scene o soltanto da un certo punto dell’avventura in poi. Mi piace pensare che quel suono facesse parte del paesaggio audio di Immortality sin dall’inizio, e che io abbia imparato a leggerlo, a riconoscerlo, a utilizzarlo come indice solo nel momento in cui ho capito che si trattasse di una soglia, di un modo, per Sam Barlow, autore del gioco, di rompere la quarta parete. Un varco tra mondi, un modo per entrare in contatto con l’altro, un indicatore preciso che diventa uno degli strumenti a disposizione per risolvere un mistero più grande del previsto.

Immortality, d’altra parte, è un gioco fatto di soglie, nella misura in cui il cinema apre continuamente passaggi tra finzione e realtà, immaginazione e improvvisazione, racconto e testimonianza. E Immortality è sostanzialmente un gioco sul cinema, sulla storia del medium e sul suo rapporto con l’esistenza, almeno a un primo livello di lettura. Della settima arte Immortality utilizza i codici, i generi, la struttura e anche la messa in scena, eppure, in maniera paradossale, senza il linguaggio del videogioco e la sua natura dialogica non potrebbe esistere, non sarebbe completo. Dopo Her Story (Voto: 9.3 - Recensione) e Telling Lies (Voto: 9 - Recensione), Sam Barlow ha trovato una formula ancora più estrema ed essenziale per proporre il suo concetto di film interattivo, trovando una soluzione quasi perfetta dal punto di vista formale e concettuale: mettere nelle mani dell’utente una moviola analogica e una serie di filmati da guardare, riguardare, accostare, mettere insieme, scoprire. Immortality, dunque, è tecnicamente un film interattivo, o almeno, il suo processo di creazione.

Il risultato della nuova indagine in FMV di Sam Barlow non può che essere un rimontaggio unico e preciso di circa otto ore di materiale girato. Alla fine, i due mondi, diegetico e reale, diventano sostanzialmente tangenti: il presupposto del gioco, infatti, è provare a far luce sulla misteriosa scomparsa di Marissa Marcel, un’attrice cult che ha partecipato a tre film mai usciti, a partire da una serie di pellicole ritrovate misteriosamente e finite nelle nostre mani, che ne ripercorrono sommariamente la carriera e una parte di vita privata prima che sparisse nel nulla. Una volta accettata questa condizione e varcata la prima soglia, siamo noi a manipolare effettivamente quei filmati, siamo noi a guardare dal buco della serratura quelle scene e, contemporaneamente, siamo parte dello spettacolo, perché la quarta parete di Immortality è fragile per definizione.

Eppure, quando ci giocherete e sentirete quel suono, tutto cambierà, perché la vera soglia che ci fa varcare Immortality non è quella tra finzione e realtà, ma quella che passa tra l’essere l’agente di una ricerca all’oggetto della ricerca stessa. Capire la storia di Marissa Marcel, ritrovarla davvero, sapere che fine ha fatto, inquadrarla, diremmo sul set, è soltanto un pretesto per parlare del rapporto tra le storie e gli esseri umani, tra le grandi narrazioni e l’esistenza, tra il senso del racconto e quello della vita. Nel titolo, d’altra parte, c’è tutto: il cinema è da sempre uno degli strumenti a cui ricorre l’essere umano alla ricerca dell’immortalità, e quella proposta da Barlow nel suo gioco non è altro che una sua versione misteriosa, affascinante e interattiva.

Noi siamo il cinema

Qualche mese fa, dopo la prima prova di Immortality, mi chiedevo cosa fosse davvero il nuovo gioco di Sam Barlow. Come Her Story e Telling Lies, è contemporaneamente molto facile ed estremamente difficile trovare una definizione della sua modalità di fare giochi. Come gli altri due titoli precedenti, il designer inglese, o per meglio dire il suo studio di sviluppo, Half Mermaid, ci propone un’avventura grafica FMV, ovvero tutta girata con filmati reali, e anche in questo caso c’è una sola vera meccanica di gioco, precisa ed essenziale.

 
Il fatto che Barlow abbia di fatto scritto e girato praticamente tre film è meravigliosamente folle.

Se nei primi due titoli il nostro ruolo era quello di indagare nella vita delle altre persone muovendoci tra i filmati attraverso le parole pronunciate dai personaggi durante i dialoghi, immettendo in un prompt quelle che, per noi, potevano essere i termini chiave per far avanzare il racconto, Immortality abbandona la strada della semantica per sposare quella del montaggio cinematografico. Come già detto, a nostra disposizione c’è un archivio di pellicole che riguardano la carriera mai esplosa di Marissa Marcel: il girato grezzo di tre film mai pubblicati, il dietro le quinte degli stessi, un po’ di provini, un po’ di materiale fuori scena. Circa otto ore di materiale che copre un intervallo di tempo di oltre trent’anni e che intreccia la vita dell’attrice con la storia di Hollywood e quella di altre figure ricorrenti nella sua vita, come il direttore della fotografia e regista John Durick. Tutto questo materiale, però, proprio come accadeva negli altri giochi, va scoperto, ordinato e, per certi versi (e questa è una novità), manipolato.

Per farlo abbiamo a disposizione, come già detto, l’equivalente di una moviola per pellicole, da controllare attraverso il joypad, che grazie all’uso delle levette e dei grilletti analogici regala un feedback fisico e materiale davvero piacevole (nonché fondamentale, in alcuni casi). Ogni clip a nostra disposizione (inizialmente il gioco ce ne regala un set) può essere riprodotta, rallentata, velocizzata, riavvolta, setacciata frame by frame alla ricerca di indizi. Ma come si trovano, se non abbiamo un prompt testuale in cui immettere le nostre ipotesi? La magia del cinema, e un tocco di surrealismo, vengono in nostro soccorso. Immortality mette a nostra disposizione una tecnologia basata sul "match cut", ovvero sull’associazione formale di immagini simili per continuità estetica o per elementi ricorrenti, che ci permette di passare da una clip all’altra selezionando un elemento sulla scena.

Preparatevi a ballare sul main theme di Two of Everything.

All’atto pratico, dunque, cosa succede? Immaginiamo di aver riprodotto una clip in cui c’è Marissa che sorride sul set, c’è un’arma sul comodino e un quadro in secondo piano. Una volta messo in pausa la riproduzione, il singolo frame diventa un’immagine con diverse zone sensibili. Grazie alla tecnologia messa a disposizione dal gioco, possiamo cliccare su un elemento per proseguire verso un’altra clip. Nel nostro esempio, il sorriso di Marissa ci porterà a una clip dove avrà un’espressione simile, mentre l’arma ci potrà condurre a una sequenza in cui assistiamo a un ciak in cui viene utilizzata, così come il quadro potrebbe portarci, per analogia, o a un’altra sequenza in cui compare lo stesso dipinto oppure a una fotografia che ritrae un soggetto simile. In sostanza, passando da un filmato all’altro percorriamo diverse strade di indagine parallele, che confluiscono nella libreria di clip scovate. Qui si possono ordinare per film d’appartenenza, in ordine cronologico, in ordine di scena girata, oppure se ne possono selezionare alcune per mettere insieme una sorta di montaggio delle nostre clip preferite. La meccanica di Immortality, come vi dicevo, è unica, ma è altrettanto vero che gli strumenti a disposizione sono piuttosto comodi per disporre del materiale a nostra disposizione.

Poi, chiaramente, proprio come in Her Story e Telling Lies, la maggior parte del gioco è altrove: nella nostra testa, perché si iniziano ad accendere lampadine e il puzzle comincia a prendere forma; sul taccuino fisico o digitale che, come da tradizione, ci portiamo dietro per forza per iniziare a ipotizzare collegamenti; nel dialogo con le altre persone che, magari, stanno affrontando la stessa indagine. Immortality, ancora più dei titoli precedenti, è un titolo che si presta alla condivisione perché la vicenda di Marissa Marcel ha contorni più sfumati, che vanno a toccare tematiche molto più intime, mature, complesse. Se ci fate caso, ho evitato accuratamente di fare riferimenti diretti alla trama, perché la realtà è che mai come questa volta Sam Barlow è riuscito a sorprendere, grazie alla giustapposizione di tematiche e livelli di lettura molto più stratificati che in passato.

 
La direzione degli attori è notevole, così come il modo in cui la fotografia dei film segue i generi e le epoche di riferimento.

Lasciarsi andare alla speculazione di Immortality è splendido, ma va fatta una piccola precisazione: vi deve piacere l’idea di passare una manciata di ore a guardare filmati di gente che parla, prova scene e gira film. Essenzialmente il gioco è questo: una versione prolissa, ambiziosa, complessa e voyeuristica di un’avventura grafica lineare con elementi da hidden object game. Certo, è molto più di così percettivamente, ma è sempre bene ricordare che non ci sono enigmi effettivi da risolvere dentro il gioco, non ci sono risposte da dare, e anche "triggerare" il finale è una questione meramente tecnica: bisogna trovare una serie di clip specifiche, essenziali a rispondere alle domande principali poste dal gioco, per sbloccare una serie di sequenze e vedere i titoli di coda. A essere cinici e fiscali, il gameplay di Immortality è figlio di un processo meccanico, che a volte presenta dei limiti oggettivi: una volta che si capiscono alcuni segreti alla base della storia e si perde l’effetto sorpresa, l’intero processo di ricerca dei filmati mancanti può diventare piuttosto algido, soprattutto in presenza di clip che non aiutano a più a svelare nessun segreto. Un po’ come in Her Story, una volta capita la chiave di volta, una parte dell’avventura diventa lavoro d’ufficio.

Il vero senso di Immortality, tuttavia è fuori dal gioco, è in quello che ci lascia addosso e nel nostro processo di scoperta, e nel piacere che abbiamo nello scandagliare le vite degli altri. Serve necessariamente questo tipo di interesse per apprezzarlo, oltre che un discreto amore (o curiosità) per il cinema, per le sua sua storia, in modo da cogliere le tracce disseminate da Barlow. Soltanto accettata questa prospettiva, allora sì, possiamo parlare di un piccolo capolavoro.

L’orrore allo specchio

Immortality è un oggetto complesso, come amo definire i videogiochi che provano a mettere in discussione alcune regole collegando mondi differenti. Quella di Melissa Marcel è un pretesto per raccontare la storia del cinema, ma anche per riflettere sulla natura del nostro rapporto con il concetto di narrazione, e non a caso questo percorso diventa presto una riflessione sul nostro rapporto con la fede, con il sacro, con l’amore, il sesso e tutte le grandi narrazioni che animano la nostra vita. Di conseguenza, Immortality è anche una riflessione sul cinema e sull’importanza dello sguardo, dell’arte e del senso di protagonismo all’interno della nostra esistenza.

Ambrosio, con il suo gotico eccentrico, erotico e iper carico, è il film più affascinante e appassionante dei tre. E il protagonista è meraviglioso.

Per intrecciare questa riflessione, Sam Barlow usa sapientemente i generi cinematografici, non solo nei tre film che, di fatto, ha scritto (con Amelia Gray, Allan Scott e Berry Gifford) e parzialmente girato per dare corpo alla carriera di Melissa Marcel e degli altri personaggi creati da zero, ma anche su un livello metanarrativo che dà sostanza e coesione all’intera esperienza. In questo senso, con grande sorpresa, pur partendo da presupposti da noir, è nell’horror che trova il suo compimento Immortality: un orrore usato come strumento conoscitivo, ontologico, che esplora le nostre paure decostruendo le certezze, andando a toccare temi maturi e profondi. Per certi versi, ma non elaboro oltre per non incorrere in spoiler, Immortality mi ha ricordato sia Midnight Mass (Voto: 8.5 - Recensione) di Flanagan, sia Nope (Voto: 9 - Recensione) di Jordan Peele nel modo in cui utilizza alcuni elementi canonici della riflessione sull’esistenza e sulla sua spettacolarizzazione per elaborare un discorso sull’uomo e la sua natura. Alcune sequenze di Immortality sono sferzanti, sorprendenti e lasciano senza fiato. Come Flanagan, come Peele, Barlow si dimostra un abile conoscitore dei linguaggi che utilizza, usa le parole giuste per parlare delle nostre paure e combina al meglio i generi per mettere in scena uno spettacolo in grado di raccontare come proviamo a esorcizzarle attraverso il cinema, indugiando spesso sul costo umano di questo processo.

Half Mermaid, con Immortality, ha fatto un lavoro sublime proprio nel riuscire a raccontare il mondo del cinema, il dietro le quinte, con le sue idiosincrasie e le sue storture, mettendo in prospettiva storica (nonché in discussione) anche alcune tematiche piuttosto attuali, come il male gaze dominante, il ruolo della donna all’interno della Hollywood classica e il rapporto tra vita privata e arte (soprattutto negli anni ‘70), architettando quello che è un vero e proprio mockumentary interattivo sulla storia del cinema, prodotto in maniera impeccabile. Come vi raccontavo nella preview di qualche mese fa, il gotico erotico di Ambrosio, il thriller sordido di Minsky e le patinate atmosfere anni ‘90 di Two of Everything (con tanto di pezzone in stile Britney Spears, con balletto) raccontano tre epoche e rappresentano tre produzioni cinematografiche plausibili (di fatto Ambrosio, unico film completato dei tre, lo vediamo quasi tutto, mentre degli altri due, tecnicamente, vediamo tutto quello che è stato girato, tra scene e prove). L’opera di Barlow è sicuramente citazionista, una sorta di lettera d’amore al cinema della tradizione britannica anni ‘70, quello di Ken Russell e Peter Greenaway, ma anche a registi hollywoodiani come Brian De Palma e Francis Ford Coppola, senza dimenticare le intrusioni artistiche di Warhol, che compare anche in alcune clip, solo per indicare alcuni dei riferimenti evidenti ed espliciti. Il suo omaggio alla storia del cinema, però, non è un mera musealizzazione, ma è qualcosa che serve alla messa in scena del suo film interattivo e del discorso metanarattivo che vuole portare avanti.

Manon Gage è semplicemente perfetta nel ruolo di Marissa.

Quando parlo di lavoro sublime, infatti, mi riferisco soprattutto al modo in cui Barlow ha diretto il cast ed è riuscito a farlo lavorare su quelle che sono quattro livelli di interpretazione differenti: quello dei personaggi nei film, quello delle persone sul set, quello della vita privata… e un quarto livello che vi lascio scoprire nel gioco, in grado di dialogare con gli altri, ribaltando l’intera prospettiva sul gioco.

Manon Gage è straordinaria nei panni di Marissa Marcel, grazie a un range di espressività incredibile e allo stesso tempo sobrio, al modo in cui il suo sguardo passa dalla felicità all’odio profondo e nella misura in cui davvero riesce sempre a essere ambigua, tanto nel bene, quanto nel male, ma non è solo lei a catalizzare la nostra attenzione. Charlotta Mohlin, infatti, è l’altro perno del racconto (nei panni di un personaggio di cui non voglio anticiparvi nulla), ed è il dialogo tra le due performance, che ci consente di vagare tra i quattro livelli di lettura soglia dopo soglia, filmato dopo filmato, mettendo noi e i personaggi sulla scena davanti a uno specchio più profondo di quanto non avessimo immaginato prima di iniziare la nostra avventura. Perché Immortality forse non è né un gioco, né un film, ma è indubbiamente un’esperienza che vale la pena vivere.

Verdetto

Se amate il cinema o amate le avventure di Sam Barlow, Immortality è semplicemente obbligatorio. Di gran lunga il suo gioco più completo, ambizioso e dalla visione creativa (e produttiva) più complessa, la nuova avventura di Half Mermaid è letteralmente un film interattivo, soltanto che ci mette in cabina di montaggio, almeno finché non rompe completamente la quarta parete e ci porta al centro del racconto. Da quel momento in poi, Immortality è tante cose diverse: un mockumentary interattivo sulla storia del cinema, un'indagine noir, un horror esistenzialista e un'avventura grafica che si affida al match cut per collegare i fili. Nonostante si basi su una sola meccanica di gioco, le diverse prospettive dialogano costantemente, merito soprattutto della scrittura convincente e del modo in cui viene diretto il cast. Emozionante, affascinante e coinvolgente, Immortality forse è meno impegnativo di Her Story, ma è un'esperienza incredibile che sfrutta (quasi sempre) al meglio il linguaggio di cinema e videogiochi, a patto di apprezzare un gameplay di tipo voyeuristico, un'interazione che parte dal gioco ma che si concretizza al di fuori di esso e di tollerare alcuni processi un po' meccanici e ripetitivi.

In questo articolo

Immortality

30 Agosto 2022
  • Piattaforma

Immortality - La recensione

9
Ottimo
Un mockumentary interattivo dirompente, che guarda al cinema e al nostro rapporto con le narrazioni.
Immortality